A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro - quadri di Luciano Allievi
Dopo avere negli scorsi articoli descritto la storia della cascina e del suo giardino, oggi divenuto un Orto Botanico all'avanguardia per la ricerca oltre che fruibile dalla popolazione, ecco il terzo ed ultimo articolo.
Chi mi legge abitualmente sa che raramente faccio ricorso alle testimonianze delle persone che hanno vissuto in un luogo, ma in questo caso si sono rese disponibili ben due persone che hanno voluto raccontare la loro esperienza nella Cascina Rosa e nella villa compresa nel ccmplesso.
Siamo nel dopoguerra: come ho già detto in altro articolo, la zona a nord di viale Argonne fu prescelta nel 1948 da Vittorio De Sica per girarvi il film "Miracolo a Milano": ebbene, tra gli attori non professionisti che parteciparono alle riprese c'era anche Luciano Allievi, piccolo abitante della Cascina Rosa (nato nel 1947), che nel seguito sarebbe divenuto affermato pittore ed è autore, oltre che di numerosi quadri raffiguranti la cascina, di un libro dedicato ad essa. Gentilmente ci ha voluto raccontare qualcosa di quell'epoca: ascoltiamolo.
"Ricordo che a cinque anni fui coinvolto nelle riprese del film "Miracolo a Milano": io facevo la parte del figlio della Duchessa, cioè il bambino che vola, ed infatti ricordo che venni appeso per simulare il volo; alla fine poi anch'io viaggiavo sulla scopa volante; i miei fratelli, assieme ai “barboni” che dormivano sopra la stalla, fecero le comparse".
Un interessante riscontro è quindi l'anno di lavorazione del film, da molti (me incluso) ritenuto il 1950, mentre da quanto sopra detto risulta essere stato il 1952. Luciano Allievi prosegue, con un po' di rimpianto:
"Nel film apparivano anche noti attori come Brunella Bovo, Paolo Stoppa, Emma Gramatica ed altri. Alla fine delle riprese, il regista De Sica chiese ai miei genitori di lasciarmi andare con lui a Roma, dove aveva in programma altri film come “Poveri ma belli” e “Ladri di biciclette”, ma mia mamma si oppose alla proposta e così svanì la “mia” occasione."
Quanto poi alla cascina, il pittore ricorda:
"Era situata in Via Strambio 41 ed era immersa nel verde di prati ben curati e ben coltivati e circondata da fossati e da pioppi secolari; uno di questi aveva un diametro di tre metri ed era alto quanto un palazzo di nove piani."
L'altra persona che ci ha voluto contattare direttamente al giornale, poichè ha vissuto nel complesso dal 1960 al 1983, quando esso fu acquistato dal Comune di Milano, è la professoressa Maria Teresa Trenta, che faceva parte della famiglia degli affittuari (fittavoli) e risiedeva nella villa; anche lei ci ha voluto raccontare qualcosa della sua esperienza di quel ventennio passato a Cascina Rosa.
"Ricordo che c'erano molti contadini a coltivare il terreno (arrivammo a 50 famiglie): tra queste, anche la famiglia del professor Umberto Veronesi, che infatti, una volta divenuto a sua volta genitore, era solito portare i figli nella cascina".
E riferita a Luciano Allievi, la professoressa Trenta ricorda:
"Luciano Allievi era il figlio dell'Angioletto, quello che faceva il "cap cavallant", cioè il primo della fila dei carri dei cavalli, ed era benvoluto da tutti perché era sempre pronto ad aiutare il prossimo".
Torniamo a questo punto alla cascina e alla sua storia recente: il destino di Cascina Rosa sembrava segnato già all'inizio degli anni Settanta, quando si pensava che dovesse essere demolita per far posto a case popolari e aule universitarie. Si costituì però un comitato di cittadini, la demolizione fu bloccata e nel 1979 il Comune acquistò l'area per destinarla a verde pubblico e servizi, anche se di fatto, essendo andato perduto qualche anno in discussioni tra gli architetti incaricati e il consiglio di zona, fu solo nel 1983 che la giunta affidò l'incarico a un professionista che preparò un piano particolareggiato approvato a marzo 1985. Nel 1988 si arrivò al progetto, ma nel 1989 un gruppo di nordafricani si stabilì nella cascina. Con roulotte, rottami di auto, vecchi mobili e lamiere, crearono attorno ai ruderi un accampamento che arrivò a ospitare fino a 500 persone. Dopo un anno e quattro mesi di occupazione il Comune decise per la linea dura. Le cronache descrivono lo sgombero: l'arrivo dei blindati di polizia e carabinieri all'alba del 25 settembre 1990, la resistenza passiva degli immigrati seduti per terra, l'intervento del console del Marocco, l'incendio scoppiato all'improvviso tra le baracche, l'esplosione di una bombola. Alla fine gli immigrati in regola con il permesso di soggiorno (circa 300) vennero trasferiti in via Corelli. Le ruspe fecero piazza pulita e attorno alla cascina venne costruita una barriera. Lentamente la burocrazia riprese a muoversi, e nel 1995 il Consiglio di zona 11 approvò la concessione della Cascina Rosa, in diritto di superficie per 60 anni, all'Istituto dei tumori; da qui iniziò la rinascita della cascina.
Chiudo con una curiosità legata al passato e alla toponomastica: su una cartina del 1948 compare una "Strada Cascina Rosa", che dovrebbe congiungere l'Ortica direttamente all'area della cascina; di fatto, poichè nel mezzo passava la ferrovia, e il fornice di via Vanzetti non fu mai aperto, la strada terminava contro il rilevato ferroviario, e coincide con l'attuale via Rosso di San Secondo.
Abbiamo così completato il mosaico relativo all'area di Cascina Rosa, una risorsa preziosa per Milano, ormai perduta negli edifici, ma ancora viva nella sua parte botanica.